30/06/25

PLEMMIRIO TRENTANNI DOPO

...Guiderò per una settantina di chilometri, devo raggiungere un altro mare: so esattamente cosa è successo, la mia mente si è messa in cammino in modo autonomo: io la conosco bene, si fermerà da sola per sfinimento e finalmente mi lascerà dormire. Adesso galoppa veloce verso sud, verso Ortigia, verso un angolo preciso di strada, in direzione d’antiche stagioni mai dimenticate. Marzo 1985 

Ho bisogno di lasciarmi andare al sogno, di crederci e vivere delle sue immagini sensuali e vere: con esse si può volare, leggeri e bellissimi e si può planare come uccelli marini nella terra dei papiri che avvampano al sole del tramonto. I due fiumi sono come i bracci di un diapason, lontani per miglia e miglia, vicinissimi alla fine: L’Anapo e il Ciane sfociano a pochi metri l’uno dall’altro, corrono incontro alla loro fine nel mare di Siracusa come due amanti uniti dallo stesso destino. Le acque verdi della sorgente del Ciane sono appena increspate da una leggera brezza che culla le canne recando trilli malinconici e sottili. E’ facile rievocare la storia antica e terribile di Proserpina strappata da un’orda di demoni alle sue compagne di giochi. Il mito alza il tenore di un fatto geografico, stravolge e lancia nello spazio dell’immaginazione la mediocre normalità del quotidiano. Il mito racconta della ninfa Ciane che pianse per giorni e giorni l’amica perduta finchè gli dei compassionevoli non la mutarono in una splendida fonte, verdeazzurra come il suo nome… Mi accendo una sigaretta, tiro una boccata ed espiro lentamente: il fumo è come il mio pensiero, mi esce dalla testa chiaro e limpido che pare che neanche mi appartenga e vola via lento come un uccello. Mio nonno mille anni fa mi raccontava che nella vita, se uno vuole essere uomo, si deve fare uccello: mangiare poco, non stare fermo mai, passare il mare, vedere posti ma senza farsi incastrare mai e senza farsi accecare mai, da una femmina, da un padrone, da una casa. Nonno non ti ho dato ascolto, non pienamente ma una parte di me è rimasta uccello e stasera si è posata qui alle fonti del Ciane, un passo prima del mare. Devo confessarlo, non sono diventato un caminante, uno di quei fortunati che sono veri cittadini del mondo, non portano pesi e possono volare liberi ovunque; ma questo luogo col suo leggero ronzio di acqua che scorre è senza dubbio il posto del canto e del volo, dove l’acqua entra nella terra e si fa casa per gli uccelli, dove il mare e il cielo sono una cosa sola. Sognare qui costa pochissimo, lo Jonio a due passi mi raccoglierà …e poi annegare o volare non importerà molto, i palazzi della marina di Siracusa dall’altra parte del Plemmirio cominciano a diventare d’oro e d’argento mentre il sole scende nel mare.

Trentanni dopo – C’è sempre un cammino privato anche in un atto pubblico come quello di pubblicare uno scritto in rete. Io ero là, su quella banchina quella sera quell’anno, il desiderio di completezza, di riunirsi alla propria intimità era una musica che suonava dentro, io la percepivo bene ma dirlo fuori era improponibile…anche adesso mi appare difficile. L’autocritica ha un senso solo se è libera e severa, così è come il bacio vero di una donna che ti ama, diversamente è solo accademia ideologica, non serve, non aiuta ma ti affossa. Il pensiero di quella sera se ne andò verso sud: credeva di trovare il suo ultimo approdo là dove aveva sognato una vita diversa per l’ultima volta. Trovò solo altro mare e un piccolo gruppo di amici a salutarlo per il suo prossimo viaggio. Aleggia da quelle parti, mi aspetta lì, sa che arriverò e ce ne andremo assieme, io lui e i nostri sogni, così come siamo nati.

28/06/25

NON SO PIU' SCRIVERE- Dedicato a mia madre


Il mio blog è per tutti, nel senso che è aperto a chiunque voglia leggerlo ma in realtà non è a volte neanche mio ma di un altro Enzo che scrive per ricordarsi di esistere mentre bussano alla sua porta raccontandogli cose che con la sua esistenza non c’entrano nulla. C’è una dimensione a parte ormai tra quello che scrivo e quello che si intravede dietro la scrittura….Molti discorsi sono veramente fuori tema ma forse non è colpa di nessuno. 
E’ estremamente difficile comunicare in modo consono la propria dimensione intellettuale esattamente così come si forma dentro una persona e lo è altrettanto percepirla e “discuterla” laddove tale discussione abbia un senso che vada al di là di un affermazione di esistenza. Niente di ciò attiene al blog normalmente inteso, si avvicina semmai ad un’esperienza da diario cartaceo o addirittura da libro; nessuna di esse vuole sostituirsi nel mio caso a questo blog, qui ed ora. Ho subito un lutto gravissimo e profondo ma chi mi ha lasciato possedeva con naturalezza la misura e la simpatia, nel senso greco della parola, del comunicare e scriverne. Io appartengo ad una generazione più nevrotica e conflittuale che ha mantenuto il fuoco e i suoi effetti devastanti senza avere in cantina buona legna da ardere. Ma non mi rassegno. 
Mamma, vedi come tutto indifferente scorre? Non sono riuscito a fermare le nostre parole, queste come le altre della nostra vita. I tramonti ad occidente, i libri nella grande libreria di casa, le foto di famiglia e questo vecchio ragazzo che adesso è rimasto solo. Arrivederci mamma. Insegnami a scrivere daccapo con l’allegra pazienza che io mai ho posseduto, sarebbe il miglior modo di spiegare a certi personaggi che si spacciano per il sale culturale del mondo cos’è la vera cultura e come saziare la sete del sapere. Mi dicesti di scrivere molto tempo fa perché sapevi e mi avevi custodito tu. In fondo non ho fatto altro che seguire il tuo desiderio. Era il nostro modo ed anche adesso che le battute cambiano e il ritmo segue un’altra armonia sento che continuare è un buon modo di rispondere alla sua carezza. Farò cosi e lei mi sorridera’… Sorrideva sempre.

25/06/25

LIBERO


Esco di casa presto al mattino. 
Libero, sono libero, metto in moto e parto: percorso diverso stavolta. Scendo in studio dall’alto, così ad un certo punto si apre tutto il panorama del golfo. Apro il finestrino, l’aria è bellissima: libero sono libero mi ripeto. Ah… me lo voglio godere questo senso di vento e di cielo. 
Guardo più in là, verso sud. La costa si perde in un orizzonte sfumato ma io socchiudo gli occhi e lo vedo perfettamente cosa c’è più in là: vedo l’altra città, antica, e il suo porto e poi, più giù le lunghe spiagge che portano sino alle soglie dell’eden. Volendo domani posso tirare dritto e posso arrivarci: libero sono libero. Potrei anche fare tutto il giro di quest’isola, fermarmi dove capita per mangiare qualcosa in assoluto silenzio guardando il mare d’autunno e i suoi colori pastello. Montalbano sarebbe d’accordo. Perchè questa sensazione di leggera follia che un tempo contagiò Battisti non resta sempre con me? Dove se ne va quando mi tradisce con altre spiagge, altri amanti? Non sono libero! So che esiste la libertà ma ci gioco pericolosamente; la palpeggio e lei ride compiaciuta, carnale…poi scappa perchè il prezzo del suo amore è troppo alto. Per ora. Domani scappiamo insieme e, chissà, forse non torniamo più. Ci stabiliamo in uno di quei paesotti placidi sul mare, quelli carezzati dai gabbiani, dove non accade mai nulla e un Pc serve solo a commiserare il resto dell’umanità sciocca che non vede e non capisce. Lì persino Giulia e le altre avrebbero un senso diverso. Montalbano sarebbe d’accordo. Mi accendo una sigaretta, si è acceso il giorno.

21/06/25

ADDIO

Attendo con una certa impazienza di inabissarmi assieme all’isola che mi ha custodito finora, è il destino che attende me e le mie imprevedibili apparizioni. 
Ho trascorso tutta una vita ad illudermi di far parte di un gruppo eterogeneo ma coeso; una sorta di popolo dell’aria, della terra e del mare, ognuno con le sue stimmate testimoni di infiniti ed estenuanti ricerche. Non è vero, non lo è in tutti i modi possibili: economico, politico, storico, esistenziale e culturale. L’ordine delle condizioni andrebbe visto in ordine inverso ma anch’esso è in fondo un esempio del divenire della mia vita in questa parte di mondo e di web. Dal denaro dispensatore di ipocrite sicurezze e di intollerabili ignoranze alla politica che è sempre stata un ciarpame di ignobile fattura sotto qualunque regime e presupposto sociale. Dalla storia stanca di prostituirsi in cento modi pur di essere accettata dai suoi lenoni, alla cultura infine che resta una vetta inarrivabile tanto più desiderabile quanto meno cercata con spirito fiero. 
La Sicilia, dove sono nato per volere fermo di mio padre ignaro solo in parte delle sue tremende responsabilità, la mia terra, è un’ipotesi segnata dal marchio di questa certezza antica: un’isola può sparire, non disegnarsi più all’orizzonte comune. Poco importa da quale volontà nasca questa magnifica tragedia, l’entità acquea, marina, già perfettamente definita da Omero, della civiltà mediterranea, si sorregge sui flutti ed è l’essenza stessa dell’instabile; per me e per tutti coloro che sono rimasti abbastanza a lungo su queste sponde vale l’eterna metafora dei naviganti, su di noi incombe il naufragio. E dirò, finalmente fuori dai denti, che è inutile nascondervi e nascondermi il possente impulso oscuro verso l’estinzione: che splendida e sensuale amante! Rincorsa nei giardini di un’adolescenza solare, posseduta a scatti nella giovinezza inquieta, e amata con tutto me stesso, sì con tutta la forza del mio intelletto, in questo scorcio di inutile maturità. 
Dirlo è liberarmi di un peso e dell’angoscia di vivere a metà, di respirare a piccoli sorsi: dalla Sicilia non posso sfuggire, non ci riuscirei. E’ un’impossibilità totale cui fa da contrappunto perfetto la volontà di provarci. Vivo così, è questa l’essenza magica di quest’isola, la sua essenza esoterica primordiale. Probabilmente non vi avrei voluto nascere e mi comporto come se non volessi vivere tout court: ho distrutto decine di esistenze anteriori a questa e mi sono riproposto in altri modi; tutte forme diverse per dire la stessa cosa, non mi sopporto. Tuttavia ho amato, vi ho amato, siete tutti stati, più o meno consapevolmente, interlocutori di un disegno più vasto. Coltivavo l’idea di una comunità scelta, elitaria per necessità, aperta per educazione, solidale per esigenza umana. E non potevo farlo se non da qui, dal mio profondo e meraviglioso sud; la storia, tutte le nostre storie, mi sono passate accanto ed io le ho studiate ogni giorno, anche a vostra insaputa, le ho accudite e sorbite con il fuoco sacro della mia esperienza. Ma non è servito a nulla, non a lenire il dolore né a colmare le distanze, tutte le voci sono diventate via via dissonanti e stridenti. Questa sinfonia si suona altrove e su un altro spartito. La nazione che io conoscevo, anche nei suoi migliori rappresentanti ha dovuto, voluto convenire ad altre scelte e adesso ritmicamente riproduce il refrain del federalismo, dello scollamento e della multietnia. E tutti i blog sono pieni di un cicaleccio continuo, di strane danze che manifestano il desiderio di essere accolti alla nuova corte da nuovi sovrani. 
Ed io non ho più nulla da scrivere se non la mia scostante estraneità a questi pseudoconcetti cresciuti con l’erba della bassa e annaffiati dalle acque di un possibilismo sconsiderato. Non c’è alcuna alternativa miei lontani bloggers, torneremo alle città e alle valli sospettose l’una dell’altra e coltiveremo i dialetti perché non abbiamo saputo possedere la lingua tramandataci dalla nostra storia culturale. A che serve postare, linkare, commentare se alla fine siamo tutti dentro l’identica prospettiva, quella di un reality- realtà costruito di sana pianta? A che serve pensare se il primo deficiente può usufruire della libertà virtuale per lordare l’espressione che hai amato e trasmesso? Dietro la delusione e l’agitarsi di questa sciocca apparenza a me è rimasta una quiete profonda, quella di certe sospensioni notturne adesso che la sera allungandosi regala più tempo per riconsiderarmi. Lo so che probabilmente state valutando queste parole come la quintessenza di un estetismo inutile e barocco ma non m’importa più. Capire, capirsi, mischiarsi, amarsi…dire finalmente. E dire basta senza nessuna specificazione perché una stagione è finita e le prossime saranno di altri ma non più mie. 
Vedete? Non ho cancellato Omologazione Non Richiesta, la ritengo bella e mia, di una possessività che non ha mai escluso, mai insultato ma solo definito confini di dialogo ormai desueti. Essa resterà qui nell’aria ed è l’unico suo valore: raccontare a chi passa e vuole ascoltare che Enzo è stato qui, che era vivo ed era siciliano orgoglioso di esserlo. Adesso l’ultimo atto: una cosa dovuta alla libertà di comunicare, lasciare libero questo spazio nell’etere e vedere passare la vita, le voci, i sussurri, le mani…le bocche, insulti sanguinosi e volgari o lodi suadenti e confortanti: appresso ad esse nessuna risposta definitiva. Non per arroganza bensì per una cosa che si chiama discrezione silenziosa o mortale superiorità. Dalle mie parti funziona.

20/06/25

ESTATE


Estate
Le parole sono suono
amano il suo abbraccio
dividono i giorni
ammantano le notti.
Frinire intontisce l’estate.
Mia madre mi disse che stavo
sull’uscio
con lo sguardo perso
dentro il loro tziiitziiiitziiiiiitziiiiiiiiiiii
per ore
per giorni.
Per una vita.
Frinire lascia sempre aperta una porta
accoglie i sensi diversi
il giallo dell’arsura
il verde misurato
e antico degli ulivi
che finisce nel blu lontano del mare.
Le parole sono cicale
alberi
aria tersa o imbarazzata
di nuvole
segni
lacrime e dita scivolate
sulle spalle di un abbraccio.
Commiato e sussurri
per non cessare l’ipnosi
di un sogno.




18/06/25

L'ESPRESSIONE GEOGRAFICA


L’ espressione geografica del Metternich,
dopo 95 anni di regime monarchico sabaudo con una deviazione fascista di venti anni, dopo 71 anni di regime repubblicano, in due regioni del nord vota e chiede l’autonomia. Ad essa si arriva dopo una centralizzazione feroce che in alcuni casi particolari ha dovuto far i conti con casi particolari: terre di confine e un’isola lontana al centro del mediterraneo. Situazioni su generis derivate da storie sui generis e risolte in modo provvisorio. L’autonomia siciliana figliastra del senso di diversità già presente nell’aristocrazia siciliana fu un bel regalo confezionato in fretta e furia dallo stato centrale appena uscito dalla guerra per i riottosi e mafiosi politicanti isolani, Un regalo pieno di dolciumi presenti e futuri, di privilegi assurdi che diventarono poi veleni mortali. Di questa autonomia, enorme sulla carta, imbelle in realtà, si è avvantaggiata solo una piccola ma rumorosa fetta di gente, i siciliani viaggiano ancora su ferrovie da inizio ottocento, hanno più forestali che in Trentino, strade piene di buche e un’emigrazione giovanile da sceneggiata napoletana con l’infame in bella vista. L’espressione geografica resta un termine crudele e beffardo ma è vera! L’Italia è una lunga penisola proiettata dalle Alpi all’Africa settentrionale, popolata da genti diversissime per storia costumi abitudini e clima; la diversità è riflessa nei secoli da stati e staterelli spesso in lotta tra loro, senza mai un vero anelito diffuso di nazionalità condivisa. La cosiddetta lotta per l’unità nazionale è stata sempre appannaggio di una ristretta elite culturale dagli anni delle prime guerre di indipendenza in poi. L’unità sarebbe più corretto chiamarla col suo vero nome: allargamento della struttura statale del Piemonte su tutto il resto del territorio. Non piacque nel 1870, non piace a nessuno nemmeno ora. Però è stata creata una storiografia-agiografia ad hoc perché da qualche parte si doveva pur cominciare, nel frattempo abbiamo attraversato guerre coloniali, lotta al banditismo (i briganti guarda caso erano tutti meridionali) guerre mondiali, resistenze e una politica di così basso profilo da restare inebetiti Il nostro libro Cuore è un composè fantastico di gioia e dolore, poesia e bassezze indicibili, voli ed entusiasmi e divisioni radicate da secoli. Siamo ancora un’espressione geografica! Per chi cammina per le strade di Palermo o Siracusa o Catania e due giorni dopo passeggia per Piazza Carlo Alberto a Torino o piazza Duomo A Milano, per chi abita in val d’Intelvi o chi vive a Lampedusa, per quelli che guidano tra le strade dell’Umbria o attraversano la pianura lungo il Po, per tutti costoro e altri ancora è impossibile pensare di vivere nella stessa Nazione. Possiamo far finta di esserlo, possiamo fingere molto bene ma restiamo un’espressione geografica. Questo non vuol dire che popoli diversi con gusti e abitudini diverse non possano scambiarsi conoscenze e favori, non debbano provare a conoscersi, ma una nazione è ben altra cosa. Una nazione è unità di regolamenti, è base storico-culturale comune dalla quale discende fisiologicamente solidarietà popolare nella buona e nella cattiva sorte. Spero di essere stato chiaro: non è così difficile capire che "forza Etna"stride con questo concetto, che non si affitta ai meridionali di 50 anni fa ( ma non è del tutto scomparsa l’idea di base) non è compatibile con esso. Non si tratta di stupido campanilismo, si tratta di mondi diversi, provare per credere. Io l’ho fatto. Se andiamo a vedere le cronache di questi ultimi anni cosa notiamo? La prima fondamentale proposta del Veneto e della Lombardia è quella di avocare a sé il 90% delle entrate fiscali. Poi il resto ed è un resto che nemmeno Cattaneo nel 1848 pensava possibile. Ma Cattaneo c’era e la sua idea di federalismo è ancora perfettamente presente nei lumbard e nei veneti di oggi. Essi non amano i crucchi ma, dovendo scegliere, tra Piemonte e Vienna credo che sceglierebbero la seconda. Oggi non avrebbero dubbi a legarsi in tutto e per tutto con l’Austria, esattamente ciò che volevano a metà ottocento...e Verdi se ne faccia una ragione! Prendersi il grosso del malloppo e gestirselo in proprio è occasione ghiotta, se a questo aggiungi il pessimo uso fatto del denaro pubblico in una regione come la Sicilia la discussione è chiusa. Riuscirebbero i polentoni a far meglio della regione con sede a Palermo? Ad evitare sprechi assurdi e privilegi fantastici? Vedere per credere. 

Due anni fa sotto la mole Antonelliana a Turin mi son sentito dire da un compito bifolco e signora che son stati loro a fare l’Italia! A ingrandire il territorio dei Savoia risposi io! Alzarono i tacchi, poi passai davanti al ristorante il Cambio davanti a Palazzo Carignano e mi immaginai il conte di Cavour fare il solito cenno al cameriere là sotto per dirgli di preparare un tavolo. Il Piemonte starebbe bene per i fatti suoi, idem la Lombardia magari con un buon trattato commerciale con la Svizzera. Il Veneto e il Friuli non han dimenticato la Serenissima, Trieste è più austriaca di quanto si pensi, mitteleuropea direi e poco italiana. Genova ad onta di Mazzini sarebbe per tutti: una città stato aperta a mille possibilità come qualunque città di mare si rispetti. Della Toscana non so dire con certezza, hanno così tanti asti i toscani tra loro, parlano l’italiano loro quello dell’Accademia della Crusca, di Dante e dei panni lavati in Arno…L’Italia? Mah, forse riveduta e corretta. Roma è ladrona, ruffiana, papalina, troppe cose per essere UNA, Quelli che furono i territori dello stato Pontificio comunque farebbero qualsiasi cosa per darle un calcio in culo a perenne memoria dei centurioni papali dell’ottocento. Napoli è ancora Regno delle due Sicilie, cultura, povertà, musica furbizia, accomodamento ad arte, Camorra imperante, legge dello stato assente e un’infinita malinconia del principe De Curtis. Poi c’è il sud e il sud del sud, c’è il silenzio dei latifondi, del Pollino e del Tavoliere, la luce del Salento e l’Oriente a due passi. L’Italia è lontanissima, la taranta presente. Devi passare lo stretto per entrare nel continente Sicilia e dovresti studiare a lungo e senza preconcetti da settentrionale leghista per capire come e perché, pur essendo la vera metafora e chiave di tutto (Goethe) l’isola non è mai stata Italia! 
Trovi l’autonomia se ci sono basi veramente sentite e comuni altrimenti trovi la secessione. Trovi uno stato federato se prima ce n’è uno veramente unitario e funzionante! Altrimenti non trovi altro che un’espressione geografica. Il conte di Cavour lo sapeva benissimo, erano gli altri a far finta di non capire, Camillo lo sapeva per intuito da vero francese qual’era, pur senza aver mai visitato la penisola sotto Firenze sapeva che di Italie se ne dovevan fare almeno tre con buona pace dei patrioti. Invece ne abbiano una finta, piena di dubbi e di equivoci, esterofila per antonomasia, con una parte di popolazione che guarda con sufficienza le altre. Tra poco non avremo più nemmeno questa ma lascio a voi il compito di descriverla, io appartengo ad un altro mondo e ad un altro paese.

13/06/25

VOILA'


T’inventerai un’altra vita per pensare 
a questa vita 
costruirai la tenacia con cui 
inafferrabili
sprofondano le cose.
Continui a dirti che se solo lo volessi
se solo ci credessi
potresti farle vere e ferme
potresti liberare l’anima del mondo.
Ma non puoi, ci sono io col mio affetto
asimmetrico
col mio cuore che batte
con i miei abusati candori.
Voilà!
Dovrai inventarti una vita diversa
per ripensare a questa che stai consumando
tra noi.
Ma è irreparabile la sconfitta delle cose passate
il senso sottile che ti stia spogliando di tutto
del tuo ultimo sguardo per me
della mia residua frase d’amore che ti attende
alla fine di questo buio.
E infine dimenticherai che nella prossima occasione
volevi essere felice.

DIETRO LE QUINTE


Al di qua di questo blog c’è una stanza abbastanza grande che vive in un’apparente quieta penombra. I mobili hanno tutto il sapore e il colore che solo un certo tempo può regalare loro, gli oggetti posati su di essi raccontano la mia vita: spesso sono un racconto anche per me che credo di conoscerli bene. Al di qua di questo grande paravento informatico i bites svaniscono, perdono dignità, resta solo la scrittura; il nero su bianco scorre per me immutabile e vivo, mi prende quando sto per cedere all’accidia di vivere senza un senso, mi ama anche se io ho detto in giro di non amarlo più.
Non riuscirò mai a trasmettervi il brivido dolce e fermo della mia prima lettura di Svevo, il sogno un po’perverso e liquido del primo Dannunzio, la pienezza ferma e riflessiva di alcune novelle pirandelliane…la mia Adriana Braggi che scopre l’eternità sulle soglie di una morte annunciata, il desiderio di vita che si accompagna alla fine del mio Pavese del 1967. Nella penombra la luce si dispone in modo teatrale, regala un’apparenza diversa in base ad un gioco che, nuovo ogni volta, esalta o annulla quello che mi sembrava fondamentale un attimo prima. La mia letteratura vive un’ipnosi eterna che io ho in parte regalato all’amore e alla passione: non torna mai indietro dai suoi viaggi senza portare con sè una nuova morte, un nuovo disagio e una nuova vita; fuori da queste stanze l’ordine e l’armonia con cui fisiologiche si dispongono le righe si trasformerebbero nel più bieco teatrino della poesia di tendenza e del mellifluo d’alta classe. Qui dentro sono un lampo accecante, un brivido e la consapevolezza crudele e fiera di esserci e aver vissuto; qui i miei amori sono confluiti nell’unico amore che mi farà compagnia quando la luce si spegnerà, le mie idee non avranno il tanfo dell’ideologia ma il sorriso sereno dell’aver capito. Al di qua del blog che voi leggete c’è un mondo che lascia di sè soltanto un riflesso lontanissimo di me e di voi; solo la musica che siede in un angolo dell stanza quando si alza maestosa può regalare almeno un’idea di quanto è accaduto qua dentro. Ma molti di voi non l’ascoltano e non sapranno mai dove è andato a riposare per sempre il pensiero di me che scrivo. 
Nessuno riuscirà a immiserire queste pagine e il loro autore, non perchè egli meriti più degli altri ma solo perchè custodisce la propria piccola parte di luce che altri hanno buttato via. Se scrivo vi amo, se vi rispondo cambio le note in cacofonia, se vi leggo cresciamo, se accetto il confronto ci sviliamo tutti. Quando arriva puntuale la sera io sfioro le superfici dei miei pensieri ad occhi chiusi per riconoscerli al tatto, per sentirli fluire, riconoscermi in essi e capire dove li ho traditi; non esiste palcoscenico adeguato a questo dietro le quinte, solo sussurri che giungono deformati dall’attesa e dal bisogno. Non vi serve, non mi aiuta, non fa scrivere. Il vetro opaco che divide il mio mondo dalla immaginazione che chiunque di voi, senza colpe, se ne è fatto, rimarrà la dove è sempre stato, la responsabilità terribile di raccontarvi volute bugie o più che dignitose mezze verità ricadrà esclusivamente su di me: non vi dirò dove e se c’è il trucco, non vi chiederò nulla ma pretenderò molto. Quando le prove d’orchestra saranno terminate, nessuno di noi riterrà queste questioni importanti. Volgeremo tutti il volto verso l’origine della musica e sorrideremo finalmente riconoscendoci dentro il suo divenire.

10/06/25

LA DIFFERENZA


A vent’anni non puoi trascorrere la tua vita appoggiato a un legno, hai bisogno d’altro senti lo stimolo di altre cose, c’è il sesso e il suo profumo… ci sono le donne, l’altra faccia del pianeta. A ventanni dimentichi e bruci in fretta. Per qualche strano motivo, in un primo periodo, anche le donne furono intrise dal gusto del politico e dell’impegno ideologico, ma fu una stagione breve e convulsa troppo lontana dalla mia indole e dalle mie aspettative.
Di fatto si era venuta a creare una situazione particolare, una specie di “ombrello” protettivo sotto cui riparare anche i sentimenti privati, un imprimatur laico senza il cui bollino le dinamiche sentimentali perdevano dignità. Una sciocchezza terribile e, come tale, rigettata da me in breve tempo. Ma il rigetto cominciò a segnare anche il mio distacco dalla routine dell’impegno politico e ideologico all’interno del movimento; quello che io credevo impossibile si ripresentava, sotto altre vesti, davanti ai miei occhi. Affermare e chiedere l’alternativa, l’autocritica, scelte diverse, democrazia e libertà di pensiero pian piano diventò solo un’affermazione “di merito” sciatta e senza vita. Insomma il fascismo di cui ci riempivamo la bocca nelle assemblee e nei cortei e la violenza che dicevamo di voler combattere noi l’applicammo in toto nel nostro modo di agire. Il segreto era non pensarci, non pensare e fare, nessuna riflessione fuori dagli schemi e, soprattutto, dalle sentinelle vigili accanto a noi, pronte a controllare e redarguire tuoi eventuali cedimenti. Nella Milano del 1970 io camminavo su un’asse di equilibrio sottilissima: al di qua e al di là non c’era nulla che io amassi veramente, nulla di cui potermi fidare ciecamente, c’ero solo io e la mia asse di equilibrio. Dei miei compagni di strada sta svanendo anche il nome: dalla primavera del 59 ad ora delle loro traiettorie è restata solo una scia indistinta Ne scrivo per questo, per fare la differenza. Ma allora e per un po’ di anni ancora io parlavo e basta, scrivere era solo un voto alto in pagella. Mia madre conservava i temi che facevo: li metteva in una cartelletta verde che nascondeva gelosamente. Le chiesi un giorno perchè lo facesse e mi rispose: “ Perchè ciò che si scrive è una persona, è il suo spirito”, poi mi baciò e tanto mi bastò. Per lungo tempo. Fu Tiziana dai capelli rossi a spiegarmi la differenza…e la sua spiegazione mi parve molto diversa da quella di mia madre e mi piacque di più. Oggi so che erano la medesima cosa…
Poca gente nella biblioteca d’istituto. Meglio, questa non sarà mai un’alcova però una stanza larga e quasi vuota è un buon palcoscenico. Oggi glielo dico, oggi o mai più. Chi se ne frega della ricerca di storia…è bellissima, la gonna a quadri chiusa da una enorme spilla d’oro e le sue gambe e il suo profumo leggermente speziato. Invade i miei sogni da mesi, non ho più una notte ristoratrice da quando la testa si è inceppata su di lei: quindi oggi glielo dico per non impazzire e non dichiararmi sconfitto davanti alle masturbazioni mentali e non. Ha già preso i testi e mi guarda, io sto fermo come un cretino a osservarla come un’opera d’arte.
– Enzo me la dai una mano a portare questi libroni sulla scrivania o devo fare tutto da sola?
– Eh…certo. Scusa.
Li prendo in fretta tutti, manco fossi un fusto da olimpiadi del sollevamento pesi…e cascano tutti fragorosamente a terra. Inevitabile, un classico che si ripete. Ma come faccio ad essere così?
-Madonna che casino…si sono rovinati?
– No, non mi sembra. Dai tiriamoli su e basta.
E’ mentre li posiamo sulla scrivania che sei troppo vicina per respirare, è adesso che ti prendo la mano e ti dico: “Tiziana ti amo”. La voce non sembra la mia eppure l’ho usata senza pensarci; è una voce da uomo che stona nel mio corpo da adolescente affannato. Ti giri, non parli. Mi guardi senza fretta. Qui niente e nessuno ha fretta. Mi guardi e io non riesco a smettere di bere i tuoi occhi… Era il primo anno di liceo classico quando una ragazza mi rivelò il mistero del parlare e dello scrivere: io le dissi ti amo, lei si avvicinò e si mise un po’ di sbieco affinché potessi ammirare la lunghezza delle sue ciglia e mi rispose: “Scrivilo, non dirmelo perché lo dimenticherai, scrivilo con un bacio.”
Ho parlato con migliaia di persone ed erano tutte chiacchiere importanti, l’unico ricordo che conservo di esse è un’eco lontana. Scrivo da quel pomeriggio in cui Enzo scrisse a Tiziana con un bacio lento e pieno d’aria che era innamorato di lei. Così Tiziana c’è ancora, con la gonna a quadri e lo spillone dorato e la camicia chiara sopra il seno ansimante. C’è perché ne ho scritto. Allora come adesso, scrivo per pesare di più sulla bilancia della vita o per continuare a crederlo. Ognuno di voi ha la sua ricetta e relativa posologia dentro la tastiera…miliardi di battiti e di baci, un firmamento di astri luminosi che contengono le nostre vite che continueranno a riflettere sulla terra anche quando i proprietari saranno volati via.

08/06/25

Fuori discussione - i commenti


Affermare che nel mio blog è presente la gran parte del mio mondo non è una battuta: chi mi legge mi legge dentro; è un rischio ( non calcolato) ma è così. La scomparsa dell'autore non implica quella del suo mondo intellettuale ma oggi al netto di qualsiasi discussione finalmente io sono fuori discussione. Non ci sono riuscito con pervicace volontà, figuriamoci se ne ero capace, è accaduto in modo fisiologico: così un momento prima di decidere una chiusura programmata mi è arrivata dalla vita una comunicazione di “fine corsa”. Se avessi deciso di lasciare la moderazione avrei limitato grandemente la possibilità di essere letto al di là del mio tempo; nessuno in rete sopporta la mancanza di relazioni, è già difficile in condizioni normali ma senza il do ut des del commento un blog affonda nelle sabbie mobili del web e sparisce del tutto. Sono certo che la mia decisione sarà la fine di tutti i miei blog: tra qualche settimana non ci sarà più alcuna visita e nessun lettore. 
Mi sento un po' scemo a riflettere su tale argomento, mi ha ossessionato per molti anni e mi ha creato grandi problemi in questo ambiente. Lasciare la mano è indispensabile quando il proprio ciclo si è chiuso, coloro che mi hanno seguito in questi anni e sanno di questa mia abitudine ricorrente forse sorrideranno un po' infastiditi ma stavolta è un gesto definitivo, quindi radicale nei suoi effetti. Se tra essi vi sarà anche un po' di delusione e quasi una sensazione di tradimento per un rapporto interrotto così bruscamente penso sia vero, doloroso ma inevitabile. Ad alcuni di voi avevo persino indicato il link di questo blog sperando di riuscire a recuperare il tempo perso: avevo una forza e una fede che ora non ho più, mi dispiace profondamente ma è ora che io vada. Infine ho pensato di togliere la moderazione d’ora in poi: non serve più. La finestra commenti resterà aperta, se volete commentatevi tra voi…oppure lasciate un ricordo: un blog altro non è che un diario virtuale, se lo lasci a vista può essere sfogliato, io la vedo così. D'ora in poi tutti i post, ovunque pubblicati ( ve ne sono altri sparsi in giro nel web, lasciati in disordine apparente- se vi capita vi inciamperete contro) sono stati programmati, ciò che non si è potuto programmare resta fissato in modo stabile. Solo una decisione estranea al sottoscritto potrà cancellare questi testi, dipenderà dalle scelte delle piattaforme di appartenenza E’ stato spesso un piacere. 

 Enzo rasi

05/06/25

VIA DOMENICO COSTANTINO


Sono nato nella tarda mattina di 73 anni fa, a Palermo in via D.Costantino al num. 16, una parallela della via Notarbartolo. Sono nato a casa di mio nonno Vincenzo perché allora era questa la consuetudine assieme a tante altre ormai svanite nel tempo. Quella casa la ricordo bene, sento ancora l’odore buono del tabacco che don Vincenzo fumava seduto nell’ampia poltrona del soggiorno; la finestra spalancata sul grande giardino della villa del barone Pottino. Di alcune cose la memoria non ci lascia mai, sopravvive in una dimensione a se stante, indipendente da tutto. Lo sguardo d’acciaio di mio nonno e le sue mani enormi ad alzarmi il mento quando combinavo qualcosa fanno parte di essa. Concretamente non c’è più nulla di loro e di quel mondo; la camiciaia in via G. di Marzo se n’è andata 20 anni fa, le sue camicie su misura erano l’unica cosa che faceva sorridere don Vincenzo…le camicie in purissimo cotone bianco e forse qualcos’altro. Ricordo mia madre, un tempo lontano per entrambi - Ho il cuore scuro - mi diceva certe mattine. Ed io - Perché?-
- Per niente - mi rispondeva, ma poi si correggeva - Per i ricordi -
Adesso sto qua e in cento altri luoghi; mi appartengono tutti e non ce n’è uno che non mi sfugga. Ho visto girare il sole sul cortile della mia vita e non mi è piaciuto: ma la luce di questo tramonto placido riesce ancora ad inebriarmi. Una vera cittadinanza però non riesco a trovarla o, forse, non mi basta questa isolana. I siciliani stanno aggrappati orgogliosamente alle loro coste ma guardano fuori in un impossibile desiderio di comunione. Oggi mi deve bastare il mio riflesso sulla vetrina del negozio in via Libertà: a lui confesso la mia incredulità, li ho compiuti davvero! E’ bastato distrarsi un attimo, una piccola svista e l’anno in più è già qui…e io non sono preparato. Non lo sono stato mai.

02/06/25

2 Giugno

Sarò franco: per questa Repubblica ho ormai un interesse molto limitato, è andato progressivamente decrescendo negli ultimi 20 anni e recentemente si è ulteriormente ridotto. Non è solo una sensazione di “pelle” che basterebbe comunque perchè è mia ed è sincera, al suo interno ci sono motivazioni sociali e storiche che io a quasi 60 anni d’età non posso per coscienza disattendere. Vi saranno ovviamente le celebrazioni e i discorsi consueti. LE SOLITE COSE. Completamente scollate dentro l’animo della gente, a Sud come a Nord, dalle vicende e dai desideri reali di coloro che abitano e vivono in questa penisola. I nostri rappresentanti(?!) in Parlamento celebreranno un paese che non c’è. Una nazione divisa e costruita sull’inganno e su falsi storici perpetuati sino al ridicolo, una Nazione che cerca da 150 anni di proporsi come unita ma che si sta sfaldando di giorno in giorno inseguendo un mito federalista che copre male il reale desiderio di andare ognuno per i fatti suoi. Dovrei aprire un altro Blog per parlarne come si deve ma sono STUFO di tutto, anche delle chiacchiere in rete e poi massacrare un sogno non è il mio sport preferito. Io sono certamente vecchio ed inadatto al veloce e pulsante mondo del blog, che infatti mi sta sempre più velocemente espellendo per la seconda ed ultima volta, però ero legato a figure di classe e compostezza diversa. Amavo De Gasperi, Berlinguer…Woityla … rispetto la scrittura perchè meno effimera e trasformista della parola e spero che di molte cose scritte nel tempo non si perda il senso e la memoria sia che esse vengano vergate sulla Costituzione di uno stato nascente o sulle pagine di un testo sacro o su quelle virtuali di un blog. Me la tengo stretta questa speranza, essa sta diventando un trastullo per pochi intimi. 
Era la notte tra il 2 e il 3-4 giugno 1946: Referendum Monarchia- Repubblica , spoglio finale: Monarchia 10 milioni e 362 mila voti, Repubblica 12 milioni e 182 mila voti. 
Sorvoliamo sulle questioni dei brogli elettorali, sono ormai superate ed inutili: meglio osservare piuttosto la grande differenza fra le due Italie uscite più o meno a pezzi dal conflitto e dai due anni di diversissimo destino storico e sociale. Un regno del sud dove una monarchia da barzelletta attese il compiersi degli eventi senza eccidi, né sangue né resistenza. Un Nord occupato da tedeschi, angloamericani e repubblichini, dilaniato da una guerra civile su cui ancora ci si ostina a sorvolare. Il sud votò compatto per la monarchia, il Nord per la repubblica. Se dovessi guardare all’atteggiamento tenuto dai Savoia ritengo che più di 10 milioni di voti siano una vergogna, se invece dovessi riflettere a questi primi 60 anni di regime repubblicano non posso fare a meno di pensare che più di 12 milioni di voti siano stati malriposti. In ambedue i casi non vedo cosa ci sia oggi da festeggiare, infatti la gente fondamentalmente se ne frega: forse che non sia stata adeguatamente educata? O forse la quantità di menzogne e mezze verità è stata negli anni tale da annichilire anche gli spiriti più battaglieri.